Il nodo dell’accoglienza dei giovani consumatori

La parata delle unità di strada a Genova, durante la FuoriConferenza autoconvocata del novembre 2021.

Molti servizi per le tossicodipendenze si stanno interrogando sulla loro difficoltà a intercettare i giovani, i quali, pur sviluppando un rapporto problematico se non addirittura una condizione di dipendenza dalle sostanze, non oltrepassano la soglia degli ambulatori se non costretti da fattori esterni (dalle pressioni genitoriali fino alle prescrizioni legali).

È una questione complessa, strettamente correlata processi di identificazione e costruzione identitaria e a forme di esplorazione delle modalità d’uso delle sostanze. 

“Al Serd ci vanno i tossici”, dicono i ragazzi, riferendosi all’archetipo passato del consumatore di eroina per via endovenosa, e differenziando quindi la loro condotta di uso che spesso prevede l’assunzione di un mix di sostanze con frequenze e temporalità variabili. 

La predisposizione di un piano farmacologico con somministrazione di metadone, propedeutico poi ad altre proposte educative e terapeutiche, che nei percorsi d’uso di eroina spesso costituisce il primo aggancio della persona al Servizio, non risulta né desiderabile né attrattivo per molti giovani consumatori, non li motiva alla domanda di aiuto.

Quali sono le coordinate per una progettualità – educativa, terapeutica, animativa… – rivolta ai giovani consumatori di sostanze? L’Università della Strada accompagna le equipe dei servizi pubblici e del privato sociale in questa riflessione all’interno di percorsi mirati.

È un itinerario che interroga le capacità relazionali dei Servizi (in questo periodo del Friuli), la loro possibilità di venire percepiti come luoghi di riferimento e di ascolto, disponibili e presenti. 

È la sollecitazione di una curiosità amorevole verso le storie di questi ragazzi e le scene in cui sono attivi, per rompere rappresentazioni stereotipate e adultocentriche. 

È una spinta a creare contesti inclusivi e non stigmatizzanti, in cui i giovani non vengano appiattiti a puri “problemi con le gambe”, ma abbiano la possibilità di essere riconosciuti nelle loro competenze, contesti dove sperimentare versioni positive di se stessi. 

È una focalizzazione educativa sul piacere che evita di cadere in una sterile competizione con la sostanza, ma punta invece ad allargare lo spettro delle esperienze potenzialmente attivanti e aiutare le persone nel gestire i tempi e i ritmi della loro eccitazione. 

È l’allestimento di una palestra emotiva in cui riconoscere, nominare e gestire i vissuti che quotidianamente i ragazzi attraversano nelle loro esperienze di vita. 

È apertura alla creatività, per moltiplicare i canali di comunicazione ed espressione dei singoli.

Non esiste una risposta univoca e preconfezionata, esistono processi di ascolto, di partecipazione e di co-costruzione di occasioni di benessere e cambiamento, con tutte le potenzialità che essi portano con sé.


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