Panka news: giovani e sostanze sul magazine de I Ragazzi della Panchina

Da diversi anni l’Università della Strada Gruppo Abele collabora con I Ragazzi della Panchina di Pordenone, Ezio Farinetti è intervenuto a proposito di giovani e consumo di sostanze sul primo numero del 2023 del loro trimestrale LDP - Libertà di Parola, di seguito riportiamo l’articolo completo:

Parlare di mondo giovanile e consumo di sostanze spesso espone ad ondate ideologiche, e quindi è opportuno dotarsi delle giuste lenti per osservare il fenomeno e pensare ad interventi mirati.

È già difficile reperire dei dati credibili per dare una giusta misura al fenomeno: solo facendo riferimento ai dati ESPAD, studio transnazionale condotto contemporaneamente in 35 Paesi europei che ha come obiettivo il monitoraggio a livello europeo dell’uso di sostanze tra gli studenti (studio che metodologicamente potrebbe essere ampiamente criticato), nel 2021 un po’ meno del 20% dei ragazzi tra quindici e vent’anni ha fatto uso di sostanze nell’ultimo anno in Italia, pari a circa 460mila persone. È un dato indicativo, su cui molto ci sarebbe da ragionare, ma almeno è una base da cui partire per riflettere su un fenomeno che non si può certo definire marginale e affrontabile con formule semplificanti.

Avere questo metro di confronto ci permette anche di verificare quanto sia sbagliata l’equazione tra uso di sostanze e condizione di problematicità e dipendenza: per fortuna (e soprattutto per la capacità e competenza dei ragazzi) la maggior parte dei giovani che usano sostanze lo fa per un certo periodo, magari in modo massivo e talvolta abusandone, ma per la gran parte questo fenomeno rientra dentro canoni di compatibilità e non ha esiti problematici.

Solo un’esigua percentuale del numero sopra indicato presenta un rapporto difficile con la sostanza, sconfinando in una condizione di aperto disagio verso il quale è necessaria un’adeguata considerazione.

Ad oggi molti servizi per le tossicodipendenze si stanno interrogando sulla loro difficoltà a intercettare i giovani, i quali, pur sviluppando un rapporto problematico se non addirittura una condizione di dipendenza dalle sostanze, non oltrepassano la soglia degli ambulatori se non costretti da fattori esterni (dalle pressioni genitoriali fino alle prescrizioni legali).

È una questione complessa, strettamente correlata a processi di identificazione e costruzione identitaria e a forme di esplorazione delle modalità d’uso delle sostanze. “Al Serd ci vanno i tossici”, dicono i ragazzi, riferendosi all’archetipo passato del consumatore di eroina per via endovenosa, e differenziando quindi la loro condotta di uso che spesso prevede l’assunzione di un mix di sostanze con frequenze e temporalità variabili. La predisposizione di un piano farmacologico con somministrazione di metadone, propedeutico poi ad altre proposte educative e terapeutiche, che nei percorsi d’uso di eroina spesso costituisce il primo aggancio della persona al Servizio, non risulta né desiderabile né attrattivo per molti giovani consumatori, non li motiva alla domanda di aiuto.

Diventa quindi centrale chiedersi: quali sono le coordinate per una progettualità – educativa, terapeutica, animativa… – rivolta ai giovani consumatori di sostanze?

È una domanda aperta, che non può mantenere il lessico e i modelli di azione dei precedenti decenni, fondati su esperienze di vita diverse, su rappresentazioni ormai obsolete dei consumatori di sostanze e delle loro scelte di vita. È un itinerario che interroga le capacità relazionali dei Servizi sanitari, sociali ed educativi, la loro possibilità di venire percepiti come luoghi di riferimento e di ascolto, disponibili e presenti. Se c’è una domanda che rimane invariata nel tempo, nonostante il passare delle generazioni, è un appello alla relazione, al contatto.

Se i Servizi, pubblici e privati, riescono a svincolarsi da un immaginario di puri dispensatori di prestazioni e riscoprono una loro vocazione a (ri)diventare luogo di incontro, di un contatto che è in sé restituzione di dignità, calore e protagonismo alle storie delle persone accompagnate, potranno in questo riscoprire un senso, un orizzonte verso cui orientare i gesti della loro quotidianità operativa.

È la sollecitazione di una curiosità amorevole verso le storie di questi ragazzi e le scene in cui sono attivi, per rompere rappresentazioni stereotipate e adultocentriche. Ascoltare è il primo passo per evitare generalizzazioni e pregiudizi, per cercare di interrogarci su cosa c’è sulla Luna, quali finalità e intenzioni i giovani ritrovano in queste pratiche, senza fermarci ad una limitata demonizzazione del dito che la Luna indica, al comportamento di uso in sé.

È una spinta a creare contesti inclusivi e non stigmatizzanti, in cui i giovani non vengano appiattiti a puri “problemi con le gambe”, ma abbiano la possibilità di essere riconosciuti nelle loro competenze, contesti dove sperimentare versioni positive di se stessi.

È una focalizzazione educativa sul piacere, che evita di cadere in una sterile competizione con la sostanza, ma punta invece ad allargare lo spettro delle esperienze potenzialmente attivanti e aiutare le persone nel gestire i tempi e i ritmi della loro eccitazione.

È l’allestimento di una palestra emotiva in cui riconoscere, nominare e gestire i vissuti che quotidianamente i ragazzi attraversano nelle loro esperienze di vita.

È apertura alla creatività, per moltiplicare i canali di comunicazione ed espressione dei singoli.

Non esiste una risposta univoca e preconfezionata, esistono processi di ascolto, di partecipazione e di co-costruzione di occasioni di benessere e cambiamento, con tutte le potenzialità che essi portano con sé. Buona esplorazione!

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