Il diritto alla salute e alla cura al tempo della mobilità umana
Nel corso della storia moderna, il riconoscimento dei diritti ha seguito un percorso che li ha portati a coprire una maggiore quantità di ambiti e a interessare un numero crescente di persone, anche al di fuori del contesto occidentale.
Il concetto di cittadinanza sta drasticamente cambiando per adattarsi ai bisogni di un mondo globalizzato. […] Il filosofo politico britannico Thomas Humphrey Marshall ha delineato tre fasi della storia della cittadinanza e dei diritti e doveri che conferisce: nel Settecento, scrive, la cittadinanza conferiva i diritti civili; nell’Ottocento i diritti politici; e nel Novecento i diritti sociali. I diritti civili garantiscono i diritti di proprietà e tutti i diritti associati, incluso quello alla privacy e a portare armi (nel caso dell’America), oltre al diritto alla libertà di espressione, di fede e di stampa. I diritti politici hanno esteso le guarentigie del maschio bianco dotato di proprietà alle donne, alle minoranze e ai poveri. Nel Novecento la cittadinanza ha incluso i diritti sociali, come quello alla salute, all’istruzione, alla pensione. I diritti del cittadino si sono ulteriormente evoluti nel senso di offrire, a ciascuno, l’opportunità di perseguire una vita piena e densa di significato.
Oggi il concetto di vita piena e densa di significato si è ulteriormente ampliato e approfondito, suggerendo la necessità di una nuova metamorfosi dell’idea di cittadinanza, così come dei diritti e dei doveri connessi. (Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, 2004, p. 277).
Nel terzo millenio, caratterizzato da un crescente incremento della mobilità umana, si afferma l’esigenza dell’esigibilità di diritti in modo universale e non più in connessione a una specifica appartenenza nazionale. In questo conferimento progressivo, come è indicato da Marshall, è evidente che l’ampliamento dello spettro dei diritti valorizzi quelli riconosciuti in precedenza e li renda effettivamente fruibili. Così i diritti civili (liberali) vengono estesi grazie ai diritti politici (democratici) e i diritti politici trovano la loro realizzazione concreta con il riconoscimento del diritto a una vita dignitosa (diritti sociali). In questa fase, il riconoscimento concreto, e non solo teorico, di diritti umani universalmente esigibili può contribuire a rivitalizzare e rendere più fruibili anche i diritti precedentemente riconosciuti.
John Urry elenca sei nuove categorie di cittadinanza che stanno emergendo dell’era postmoderna. In primo luogo, c’è la cittadinanza culturale, che riconosce a ogni cultura il diritto di preservare e nutrire la propria identità. Poi il diritto delle minoranze di risiedere e permanere in altre società, ricevendo eguale tutela e eguali diritti e doveri della popolazione nativa. Il terzo è il diritto alla cittadinanza ecologica: ogni essere umano ha il diritto di vivere in un rapporto armonioso e sostenibile con il pianeta, e di godere dei frutti della natura. Il quarto è il concetto di cittadinanza cosmopolita: il diritto di ogni essere umano di entrare in relazione con altri cittadini, società e culture senza l’interferenza dell’autorità statale. Il quinto è la cittadinanza del consumatore, con la quale si manifesta il diritto di ciascuno di accedere liberamente a beni, servizi e informazioni a livello mondiale. Il sesto è la cittadinanza della mobilità: i diritti e i doveri dell’ospite e del turista nel loro passaggio attraverso altre terre e culture (Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, 2004, p. 278).
Questi diritti devono essere letti in modo universale ed esistere quindi al di là e a prescindere dei confini dello stato nazione.
L’era dei diritti umani ha avuto inizio con la fondazione delle Nazioni Unite nel 1945. La carta delle Nazioni Unite definisce la promozione e l’incoraggiamento del rispetto per i diritti umani e per le libertà fondamentali di tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”. [...] Nel 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, 2004, 279).
Il diritto alla salute e alla cura occupa un posto fondamentale nell’ambito dei diritti umani universali, tanto da costituire un presupposto essenziale per godere effettivamente anche degli altri diritti.
L’attuale situazione in Italia, la quale come il resto del mondo occidentale si trova coinvolta in un crescente aumento delle mobilità umana dovuta, tra gli altri fattori, a pandemie, guerre e carestie, vede un progressivo peggioramento dell’accesso ai servizi sanitari e alla fruizione delle cure, non solo per i cittadini stranieri ma anche per gli italiani. Il servizio sanitario è stato decentrato, creando di fatto differenze per quanto riguarda la cura nelle diverse regioni, l’assistenza capillare della medicina di base si è spersonalizzata e i contatti avvengono principalmente per via telematica, le visite e le prestazioni specialistiche sono prenotabili a distanza di mesi, di un anno, qualche volta l’accesso è sospeso, altre volte la prestazione è accessibile nel territorio regionale ma solo in località distanti dal luogo di residenza del fruitore.
Per quanto riguarda la salute dei cittadini stranieri, l’Art. 35 del Testo unico sull’immigrazione assicura che gli stranieri privi di permesso di soggiorno in corso di validità hanno comunque diritto a ricevere,
nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.
In particolare sono garantiti: la tutela sociale della gravidanza e della maternità; la tutela della salute del minore; le vaccinazioni; gli interventi di profilassi internazionale la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai. In alcune regioni è inoltre garantita la cura, prevenzione e riabilitazione in materia di tossicodipendenza.
Le strutture predisposte a fornire assistenza ai cittadini stranieri (Centri Informazione Salute Immigrati - ISI) coprono sovente un territorio troppo vasto per essere facilmente accessibili e pongono condizioni limitative, come la richiesta di documenti di identità validi o la permanenza sul territorio nazionale da almeno tre mesi, condizioni difficili da adempiere per chi è arrivato con un barcone o attraverso la rotta balcanica. Nonostante la chiarezza della legge per cui:
l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano
è diffusa la credenza nel personale sanitario che l’obbligo di segnalazione sia da applicare sempre, adducendo la poca chiarezza dle testo a motivazione. Gli stessi studenti di medicina si dimostrano spesso poco preparati su questo passaggio normativo.
L’esperienza maturata nel corso della pandemia ha acuito queste situazioni di forte disagio, ma non per questo sembra essersi tradotta nella volontà di porvi rimedio. In questo clima è favorito il ricorso ad altri servizi. Il diritto alla salute e alla cura in Italia, un tempo tutelato con iniziative avanguardistiche, è sempre più compromesso e l’assistenza sanitaria è sovente demandata a soggetti privati, dati i costi di questa alternativa è intuibile come, in una situazione di progressivo impoverimento e aumento delle diseguaglianze, a sempre meno pazienti sia garantito il diritto a una cura tempestiva ed efficace. Gli sforzi delle associazioni di volontariato che garantiscono cure e farmaci gratuiti a chi non può provvedere in autonomia non sono sufficienti a sopperire alle carenze della sanità pubblica.
Un diritto umano universale alla salute è sempre meno riconosciuto e tutelato e rischia di travolgere, se crollasse, anche gli altri diritti fondamentali.