Le parole possono essere muri… oppure ponti
Ronald D. Laing scrisse sul finire degli anni Sessanta:
…non possiamo aver fiducia nei principi, negli uomini, negli studiosi, negli scienziati. Dobbiamo aver però fiducia in qualcosa che è molto più profondo del nostro io”.
In tempi di guerra non è facile far ventilare delle riflessioni, che sappiano dare voce ad una posizione rispettosa della complessità in campo. Ma certamente, a distanza di pochi giorni dalla manifestazione che a Torino ha visto scendere in strada parte di quel campo sociale che desidera affermare il diritto di ogni persona e di ogni popolo a essere protetto dalle violenze della guerra, mettere a parola delle idee, ci sembra un modo per unire pensiero e azione.
A inizio ottobre nell’accompagnare i volontari del Servizio civile del CNCA, abbiamo vissuto una mattina animata, confrontandoci sul senso dell’obiezione di coscienza, e della sua trasformazione al sistema del Servizio civile. Allora è stato bene ripercorrere la storia… andata e ritorno verso quella parola desueta che è “pace”. Portiamo allora un piccolo contributo, come formatori che spesso sono chiamati a accompagnare gruppi, “noi organizzati”, ad arricchire le competenze sulla gestione del conflitto.
Perché è vero, e tanto lo ribadiamo, che conflitto non è violenza ma, sempre più spesso, la divergenza, e le sue radici profonde e inesplorabili, diventano prima escalation, poi guerra.
Se il conflitto di per sé evolve, le due direttrici che esso può intraprendere sono la lotta e la cooperazione. Sembra allora paradossale che scendere in strada uniti, con una fiaccola in mano, sia un tentativo di affermare a gran voce, la necessità di trovare la strada della cooperazione, quella che garantisca per ogni parte coinvolta nel conflitto, la possibilità di veder rispettati dei diritti, diritti umani.
Vorremmo anche, attraverso il nostro impegno formativo, dare voce a quelle competenze che aiutano a far evolvere i conflitti in forme di cooperazione, perché, se a livello relazionale e comunicativo, i sistemi evolvono spesso verso forme distorte, dove potere e paura alimentano una distorsione non ecologica, è sullo stesso livello che potremo cercare di contribuire ad uno sviluppo diverso. E quel livello resta la relazione.
Mi viene in aiuto Gregory Bateson, che in un suo ultimo contributo, Dove gli angeli esitano, ci dona un barlume di saggezza, indicando nel sapere di non sapere il rimedio per uscire da questa involuzione che vede nella guerra la sua più spettrale rappresentazione.
Forse per questo egli consiglia di buttare le conoscenze acquisite sul mondo, e di ricominciar da capo a scandagliare i misteri del comportamento umano e della comunicazione tra noi e il sistema.
Pensiamo che nello scendere in strada “disarmati”, ma non privi di speranza, risieda quel barlume di saggezza. Che tornare a tendere la mano alla pace, sia una scelta di campo, quella che ci fa alimentare con parole desuete eppur capaci di costruire ponti. Diretti verso una società più in grado di garantire diritti.
La vita è relazione e, se nella metafora dei corridoi umanitari si intravede la possibilità di non costruire muri, ma corridoi … quella sera abbiamo marciato alla ricerca di qualcosa di molto più profondo del nostro io.
Leggi della fiaccolata per la Pace promossa dal Gruppo Abele sulle pagine de La Stampa