Presenti e sicuri. La gestione di situazioni di scontro e aggressività

Stanley Kubrick e Malcolm McDowell sul set di “Arancia meccanica” (1971)

Cominciamo subito a mettere le cose per quanto possibile in chiaro: l’aggressività in sé non è un male, è una modalità comportamentale prettamente umana e non va quindi demonizzata. Tanti autori hanno riflettuto su un tema così delicato – Erich Fromm e Fritz Perls, solo per citarne un paio di significativi – , cercando di de-assolutizzarne la connotazione negativa e di evidenziare la compresenza di elementi costruttivi e distruttivi. C’è una carica aggressiva “benigna” che ci permette di “mordere il mondo”, di mettere in discussione schemi e cornici in cui non ci ritroviamo, che ci consente di affermarci e di difendere le cose in cui crediamo con passione ed energia; al contempo c’è il pericolo che una tale potenzialità declini su un versante negativo e annichilente, che trascenda la volontà di affermazione personale per diventare cieco impulso sabotatorio e corrosivo.

Basterebbero queste poche righe per comprendere come il compito educativo e terapeutico sull’aggressività non possa mirare ad annullarla definitivamente (ce l’aveva insegnato Stanley Kubrick nel suo passaggio sulla “cura Ludovico” in Arancia meccanica) quanto a renderla comprensibile, simbolizzabile, riconoscibile e gestibile nella persona e nel suo relazionarsi con l’Altro. Questo aspetto risulta centrale nella relazione di aiuto, dove come operatori sociali siamo quotidianamente a contatto con episodi di aggressività: è l’episodio di aperta protesta di una persona all’interno del Servizio sociale per una percezione di ingiustizia; è l’attacco del minore che sembra mettere alla prova la capacità dell’equipe della Comunità educativa che lo accoglie in merito al saperlo contenere; è l’agito poco lucido di un utente del dormitorio che riporta nel perimetro del servizio dinamiche trascinate dalla giornata in strada; è l’esplosione di una tensione in Comunità terapeutica che rischia di contagiare l’intero gruppo; è la reattività per frustrazione di una persona migrante che si sente sfuggire dalla mani l’opportunità dell’accoglienza temporanea.

Proprio per la garanzia di presenza e disponibilità degli operatori, la relazione di aiuto è spazio abitato non solo dalla gratitudine, ma anche dall’oppositività, da un atteggiamento duro e impulsivo che spesso è espressione di un aperto disagio, di un’emotività poco controllabile che sembra non avere altro esito se non l’esplosione. Come muoverci di fronte a questi comportamenti, che mettono in crisi il singolo operatore e gli equilibri del gruppo di lavoro?

  • Il primo possibile passo è il reperimento di senso: può essere utile arginare la tentazione di rimuovere immediatamente dal campo di pensiero dell’equipe il brutto episodio e permettersi di capire insieme perché è successo. Spesso la vicenda aggressiva ci fornisce informazioni importanti sulla persona coinvolta, sulla relazione con gli operatori, sul servizio in generale: l’agito aggressivo “parla” della situazione in atto, e quindi può dirci qualcosa di utile sul particolare momento che sta vivendo l’aggressore così come l’intero sistema di cura. Comprendere non vuol dire giustificare, cercare di ritrovare i moventi di un comportamento negativo non porta a sottovalutarne le conseguenze, ma consolida un postura conoscitiva che è alla base di un’intenzionalità di aiuto.

  • C’è poi da considerare una componente essenziale nella vicenda aggressiva, il corpo. In questi episodi c’è sempre una dinamica intercorporea, c’è un gioco di distanze e vicinanze, di sicurezze e tremori, di sguardi, di movimenti lenti e veloci, di frontalità e lateralità nell’incontro/scontro. Non esistono soluzioni universali per padroneggiare le situazioni critiche, e non si può nemmeno pensare di adottare letteralmente tattiche di difesa personale assolutamente fuori contesto in una cornice di aiuto: si può però investire su una maggiore consapevolezza corporea, su un senso di “presenza” fisica e di attenzione al movimento dell’altro che possa permettere di recuperare un nostro senso di sicurezza e ci possa far uscire da un rischio di escalation violenta.

L’aggressività, quando si manifesta all’interno di un contesto di aiuto, chiama direttamente in causa l’operatore con il suo sentire e la sua capacità di “stare” in una situazione calda e di difficile gestione. Ecco perché lavorare su questo tema vuol dire essenzialmente mettersi in gioco, monitorare la nostra emotività e il rischio costante di una reattività che inneschi dinamiche simmetriche e non più di accompagnamento della vicenda critica in corso. Questo vuol dire monitorare la condizione emotiva e l’energia che riusciamo a spendere nel nostro impegno quotidiano (è sentire comune che quando siamo più stanchi e sotto pressione rischiamo di essere meno lucidi e di controreagire all’attacco), così come  i nostri trigger, le situazioni e le persone che “di pancia” sollecitano in noi risposte avversative. Una maggiore consapevolezza dei nostri punti sensibili e della nostra “temperatura” emotiva nel lavoro rappresenta un fattore protettivo essenziale nella gestione di situazioni aggressive.

Allo stesso modo siamo chiamati a bilanciare i fattori disposizionali del comportamento aggressivo, i tratti e le modalità comportamentali del singolo aggressore, con le variabili situazionali, quelle caratteristiche del contesto che possono innescare e alimentare un crescendo bellicoso. L’esperienza quotidiana e la letteratura scientifica sul tema ci aiutano a leggere gli episodi critici come una combinazione tra elementi personali e ambientali, e quindi l’operatore sociale, che spesso si ritrova a organizzare spazi e cornici di intervento (basti pensare alla gestione degli spazi nei Servizi, alle dinamiche di convivenza in gruppo, al ruolo delle regole, alla cura dei momenti di accoglienza, all’attenzione nella comunicazione di informazioni delicate, etc.), si deve interrogare su come un’attenzione organizzativa e contestuale possa disinnescare potenziali fuochi reattivi.

Questi e altri temi saranno approfonditi nel percorso formativo Presenti e sicuri. La gestione di situazione di scontro e aggressività che l’Università della Strada organizzerà a Torino il 25 e 26 ottobre 2023.

Ad accompagnare nel percorso di apprendimento ci saremo io, Ezio Farinetti, che da anni sto approfondendo il tema della gestione dei comportamenti aggressivi nelle relazioni di aiuto, e Domenico Massano, pedagogista, educatore e tecnico FIJLKAM/CONI (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali): l’auspicio è di poter mettere in dialogo le riflessioni, le esperienze maturate e l’esperienza corporea diretta, lavorando globalmente sulla sicurezza e sulla presenza nella relazione educativa.

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